La sveglia suonò e lui grugnì qualcosa d’incomprensibile.
Poi, con qualche cautela, si alzò sui gomiti, mentre il dolore
alla testa cominciava a farsi blù, a calargli dietro alle
palle degli occhi e a spingerle fuori, tanto che qualche volta gli
lacrimavano così forte che gli si appannava la vista.
-Cazzo... - Mormorò come ogni lunedì mattina, ricordandosi
che quella doveva essere l’ultima volta che si ubriacava come
una bestia.
Aprì gli occhi a fessura e la stanza era ancora semibuia.
Sul comodino il maledetto tichettare della sveglia e un tenue baluginio
verdognolo intermittente. Attraverso le lacrime quella lucina sembrava
il faro di un’automobile, una lampada dai bordi dentellati
assolutamente assurda, perchè lui sapeva che sul comodino
non c’era nessuna cosa capace di emettere una lucina verde
intermittente.
Aprì un po’ di più l’occhio sinistro,
quello vicino al comodino, e si concentrò, per quanto il
dolore fosse ormai diventato viola, sull’origine del lumicino.
Richiuse entrambi gli occhi e una lacrima gli scese lungo lo zigomo.
“Non è possibile” pensò.
Poi li riaprì e lentamente ruotò la testa verso il
comodino. Non aveva sognato, e non era nemmeno un’allucinazione.
Quello era il suo vecchio cellulare, quello grosso come un mattone
da tramezza, ed era acceso.
“Occhei. Ho capito... Non devo più bere così.”
Si alzò ed evitò di guardare in basso finchè
non fu in bagno. Si mise sotto alla doccia e regolò la temperatura
più bassa che riuscì a sopportare, poi, dopo alcuni
minuti, uscì e avvolto nell’accappatoio si risedette
sul letto. Cercò un paio di calzini nel cassetto e mentre
si infilava il secondo lo sguardo ricadde sul comodino e su quella
cosa che non poteva essere lì e che soprattutto non poteva
essere lì accesa.
Da persona estremamente razionale, cominciò quindi a pensare,
mentre il dolore scemava in un cupo blù oltremare e scendeva
fra il collo e la nuca, a cosa cavolo ci facesse lì, sul
comodino, quella cosa che aveva buttato contro il muro sei mesi
prima, e inevitabilmente a quel pensiero si affiancò quell’altro,
anch’esso viola scuro, dolente e pulsante come un’emicrania
ma più profondo, del ricordo di lei e della sua fuga.
Non riuscì come al solito a darsi una risposta in entrambe
le domande e si rifugiò nei pensieri più correnti,
più usuali, e che non avevano nulla a che fare con oggetti
che apparivano come miraggi elettrici sui comodini, non trovando
però nemmeno un piccolo sollievo. Quel lumino infatti continuava
a sfidarlo: ritto in piedi come un faro sembrava chiedergli un po’
di attenzione, come se una cosa che non dovrebbe esserci avesse
certe facoltà. Così, una volta afferrato si accorse
che c’era un messaggio non letto.
“Sto sognando. Non c’è altra spiegazione,
quindi non c’è nessuna ragione che mi suggerisca di
non leggere il messaggio...” pensò. Così
lo lesse, mentre cercava senza convinzione di accendere la macchinetta
del caffè.
“SONO STANCO DI VEDERTI IN QUELLE CONDIZIONI. TI VOGLIO AIUTARE,
QUINDI OGGI INCONTRERAI LA DONNA DELLA TUA VITA. TI BASTERA’
SEGUIRE LE MIE ISTRUZIONI.”
“Ma che scherzo originale!!!” pensò
con irritazione. E cominciò ad immaginarsi quale dei suoi
colleghi conoscesse il suo numero di cellulare, non sapendosi però
dare una risposta.
L’sms non aveva mittente.
“Strano”.
Lo schermo si illuminò di nuovo e trillò due volte.
Un altro messaggio.
“NON E’ STRANO. FIDATI.”
Questa poi!! Cosa faceva adesso? Leggeva nel pensiero?
Bi-bip.
“SE TI FA STARE MEGLIO, PENSALO PURE.”
Posò il cellulare. Anzi, lo gettò a terra, ma quello
rimbalzò sul tappetino. Fece un salto indietro, come se quel
maledetto affare potesse in qualche modo aggredirlo, poi tornò
in camera e chiuse la porta a chiave.
Si sedette per terra con le spalle alla porta e si accorse di avere
l’affanno.
-Giuro che non bevo più niente di più alcolico dell’acqua
brillante...- borbottò.
Passarono alcuni minuti di silenzio totale. Poi, dalla cucina, la
vecchia suoneria fece risentire la sua voce. Uno squillo, due, tre...
Si mise le mani sulle orecchie per non sentire e schiacciò
più che potè, ma quel trillo era penetrante: passava
la porta e le sue mani come se niente fosse e arrivava direttamente
al cervello, come se volesse bussare direttamente all’anima.
Quando si decise a rispondere, un attimo prima lo squillo cessò.
Chiamata persa.
Nessun numero associato.
-Cazzo... -
Si doveva trattare senz’altro di uno scherzo, ma fino da quando
era ancora bambino gli scherzi telefonici gli davano un senso di
inquietudine. Si sentiva stranamente violato e dovette sedersi sul
divano per cercare di riprendersi un po’. Chiuse gli occhi
e un secondo dopo un altro bi-bip gli annunciò un nuovo messaggio.
“Ancora?”
“NON MI STAI AIUTANDO FACENDO COSI’. RILASSATI. :-)”
“Occhei. Sto ancora sognando. Cosa dovrei fare?”
“FAI COLAZIONE, ESCI E PRENDI IL TUO BUS COME AL SOLITO. SEGUIRANNO
ISTRUZIONI.”
“Seguiranno istruzioni... E perchè dovrei seguirle
anch’io? Ma cosa sto facendo?”
“LA DONNA DEI
TUOI SOGNI TI STA
ATTENDENDO. PENSI SIA IL CASO DI FARLA ASPETTARE?”
Cancellò convulsamente i messaggi ricevuti e si chiuse in
bagno. Aspettò alcuni minuti, poi, addentò una brioche
e preso lo zainetto con il pranzo uscì sbattendo la porta.
L’aria di fuori lo riportò per alcuni istanti a quella
che aveva sempre ritenuto la realtà, con la solita gente
che aspettava l’autobus e che faceva i soliti discorsi, ma
qualcosa rompeva quella monotonia. E la consapevolezza che quel
qualcosa era nel suo zaino, quando era certissimo di averlo lasciato
sul tavolo della cucina, lo gettò nel panico. Si allontanò
dalla ressa di alcuni passi, poi si sfilò lo zaino dalle
spalle e aperto uno spiraglio della cerniera lampo ne cacciò
un’occhiata all’interno. Al buio della fodera nera,
un lumino verdognolo lampeggiava nell’angolo .
Infilò una mano con la circospezione di chi si introduce
nella tana di una belva, poi con uno scatto afferrò il telefono
e dando le spalle al resto della gente alla fermata ne osservò
lo schermo scoprendo con disappunto l’icona di uno o più
messaggi ricevuti.
Meccanicamente li fece scorrere e si soffermò su uno in particolare:
“LA PRIMA DONNA CHE GUARDERAI NEGLI OCCHI E CHE RICAMBIERA’
IL TUO SGUARDO, SARA’ LA COMPAGNA DELLA TUA VITA.”
-Già. E sarà mia per sempre... - Bisbigliò
sarcastico mentre prendeva il cellulare e lo buttava in un bidone
della spazzatura. Poi si avviò nuovamente verso la fermata
dell’autobus con l’animo più leggero, tentando
in qualche modo di pensare ad altro.
Ma non appena salì sul tre ed evitata una vecchia signora,
il suo sguardo cominciò a posarsi su tutte le ragazze presenti.
“Sono uno stupido...” Ma intanto continuava
e più si sentiva stupido e più si concentrava sui
visi, in cerca magari di quella che aveva visto quattro giorni prima.
“E’ una cosa talmente idiota che potrebbe funzionare...”
Una ragazza magrissima che stava guardando fuori dal finestrino.
Una bionda maggiorata che si aggiustava i capelli stopposi specchiandosi
in una pubblicità. ”Ne hai da aggiustare...”
Pensò. Poi passò alle altre.
Una che parlava a voce alta al telefonino...
Un'altra carina, almeno, vista di schiena. No, no...Girati per favore!!!
E infine una talmente obesa che occupava lo spazio di due persone.
Aveva un rossetto così
spesso che le sue labbra sembravano un’insegna luminosa e
tremò al pensiero che quella in quel momento si voltasse.
“Non c’e’...”
Poi la vide.
Era seduta nell’angolo più avanti del bus ed era china
sul libro che stava leggendo quattro giorni prima. Un libro che
lui aveva già letto e che gli era piaciuto un sacco. Sorrise
al pensiero della fatica che aveva fatto a capirne il titolo e al
piacere che provò non appena si rese conto che si trattava
di un romanzo del suo autore preferito, ma come al solito non era
riuscito a trovare le parole, il modo... Maledizione! Avrebbe voluto
parlarle, chiederle tante cose, ma come l’altra volta la fermata
si stava avvicinando e lei sarebbe scesa e sarebbe sparita nella
folla e poi dietro l’angolo, oltre le teste degli altri passeggeri
che all’oscuro di tutto, continuavano passivamente a viaggiare
stipati fino alla prossima discesa.
Con il cuore che gli martellava nel petto allora si fece largo fra
gli studenti e i loro zaini e finalmente le giunse a pochi centimetri.
C’era solo lui fra lei e la porta e anche se non ne avesse
avuto la minima intenzione arrivata alla sua fermata avrebbe dovuto
guardarlo, avrebbe piantato quegli occhi nei suoi.
“Cosa diceva il messaggio?: se ricambia lo sguardo sarà
la tua compagna della vita... Basterà solo guardarla e lei
mi guarderà. Perchè non crederci?” Poi
si scosse. “E perchè crederci? Ma sto diventando
matto davvero?”.
Si voltò e vide che il momento in cui tutto sarebbe successo
era giunto veloce e incombente come un falco sulla preda.
L’autobus rallentò e lei chiuse il libro. Le mani scivolarono
alla borsa dove ripose il romanzo, poi se la mise a tracolla e cominciò
ad alzare il viso.
“Sarai la mia compagna della vita...”
Poteva vedere quell’ovale schiacciato dalla
prospettiva trasformarsi velocemente in un qualcosa di bellissimo.
Le sua cilia così lunghe e le labbra e quella pelle così
delicata. E poi gli occhi. Due pozzi scintillanti che non erano
ancora all’altezza dei suoi, ma che ci sarebbero arrivati.
Eccome...
-Scende?- Una voce da dietro.
L’autobus s fermò e le porte si aprirono. Lei si alzò.
-Scende?? - La voce si era fatta irritata.
Lui si voltò.
Occhi negli occhi.
“No!”
La ragazza col libro lo schivò con grazia e lo superò
scendendo con un balzo dal mezzo. Poi una mano pesante lo scostò
di lato. Era un’allucinazione o era davvero avvinghiata al
suo cellulare?
Ancora quello sguardo.
-No! -
Poi la donna dal rossetto spesso lo riguardò negli occhi,
sorrise e lo trascinò giù dal bus.